Il discorso del re

di Alessandro Tonin

La sera del 3 ottobre 2017, dopo tre giorni di assoluto silenzio, attraverso la tv di stato il monarca spagnolo parla alla Nazione per commentare il referendum sull’indipendenza che si era tenuto tre giorni prima in Catalogna.

Il re Felipe Juan Pablo Alfonso de Todos los Santos de Borbón y Grecia (ricordiamoci sempre che questo è il nome all’anagrafe) si presenta di fronte alle telecamere in giacca e cravatta, seduto nel suo studio. Gli unici simboli presenti sono la bandiera spagnola e quella europea. Il contenuto del discorso è duro, forse più di quel che ci si aspettava, ma decisamente non indimenticabile. Ma quel che non dovrebbe proprio essere dimenticato è la simbologia con cui il re si è presentato agli spagnoli suoi sudditi.

La bandiera spagnola era sapientemente ripiegata per mostrare lo stemma di Aragona, simbolo del dominio sulla Catalogna. La bandiera europea era là a ricordare al popolo catalano che con l’indipendenza sarebbero stati automaticamente esclusi dall’Unione Europea. Il castigliano, lingua in cui il re ha tenuto tutto il discorso, a sottolineare il potere centrale spagnolo, contrapposto al catalano utilizzato nel parlamento regionale per dichiarare l’indipendenza. E infine la giacca e la cravatta, a nascondere la regalità della persona dietro una maschera civile, decisamente più accettabile per un cittadino del ventunesimo secolo rispetto agli attributi di scettro e corona.

Ascoltando il discorso del re ci si accorge che potrebbe essere il discorso fatto da un qualsiasi presidente repubblicano: guardando il monarca si vede una figura appiattita e ormai indistinguibile da quella di un qualsiasi altro capo di stato. Eppure la monarchia esiste, resiste e persiste. La monarchia è stata costituzionalizzata (in Spagna re-costituzionalizzata assecondando il volere franchista) ed è diventata abitudine, routine, un dato di sfondo non in discussione, che anzi, in occasioni come questa del 3 ottobre, pare quasi avere un senso: la voce di una autorità che parla super partes, in nome di tutto il corpo del paese che nel corpo del re trova una sua, unitaria e simbolica, incarnazione. La monarchia ha avuto l’abilità di indossare la maschera degli abiti civili: il re senza corona, non certo per la vergogna di indossare simboli pregni di arcani significati, né per il pudore nell’ostentare i segni del potere. Si tratta di una ragionata mascherata: il re si mimetizza, si traveste da non-re, per non scomparire.

Neppure i catalani che, volendo dichiarare una repubblica secessionista, hanno attaccato direttamente Felipe e il suo regno, hanno mai seriamente messo in dubbio la plausibilità della figura del re e la legittimità del sistema monarchico. Probabilmente quella era la strada: un attacco alla monarchia, invece che allo stato, in nome di una rivoluzione repubblicana. Così si sarebbero attratti le simpatie anche del resto della Spagna. Ma così non è stato, perché gli interessi erano altri, ma anche perché il re, avendo assunto le sembianze di un cittadino qualunque, passa inosservato: così la sua figura torna ad essere non contestabile, in quanto immutabile per natura ed eterna per diritto di nascita

La dualità del corpo del re teorizzata da Kantorowicz si ripresenta diversa ma immutata: un corpo naturale che si maschera in abiti civili, e un corpo mistico che sfugge alla percezione e perciò non è in discussione: non può essere contestato in quanto il suo status e la sua stessa vita, riproducibili per via di sangue, sono eterni.

Solo quando il corpo mistico verrà smascherato, criticato, attaccato e ucciso si potrà uscire dal paradosso cronologico di vivere nel XXI secolo in un’Europa che cerca disperatamente di inventarsi un futuro e che, contemporaneamente, non si vergogna di presentarsi al mondo con ancora 12 teste coronate.